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GIFT. L’arte in scatola, ma fuori dagli schemi

⏰ lettura 3 min.

Lasciatemelo dire subito: quando un progetto riesce a unire profondità storica e freschezza contemporanea, io mi tolgo il cappello. Ivan Quaroni ci ha visto lungo, anzi, lunghissimo, curando Gift. L’arte dello scambio (e del dono). Non siamo di fronte alla solita collettiva, ma a un vero e proprio organismo vivente, un ecosistema pulsante che riporta l’arte alla sua dimensione più nobile e, paradossalmente, più “social” (nel senso vero del termine, non quello di Instagram): la relazione.

Adam Smith diceva che l’inclinazione allo scambio distingue l’uomo dagli animali. Vero. Ma qui andiamo oltre l’economia. Qui siamo nel territorio sacro del Dono, quella zona franca dove l’oggetto artistico non è merce, ma legame.

Il Concept: 20 Scatole, 400 Mondi

L’idea è semplice quanto geniale. Venti artisti, venti scrigni. Ognuno ha creato un’opera per gli altri, generando un cortocircuito creativo pazzesco. Immaginatevi venti micro-musei portatili, dove il “dare” e il “ricevere” diventano il motore di tutto.

Non è solo una mostra, è un dispositivo relazionale. La scatola non è un semplice contenitore, è un link fisico tra chi crea e chi guarda (e tocca!).

La line-up scelta da Quaroni è un mix sagace di stili e visioni. Venti nomi che hanno accettato di mettersi in gioco, di frammentare la propria poetica per farla entrare in una scatola e dialogare con gli altri. Un applauso sincero a:

  • David Bacter, Corrado Bonomi, Dario Brevi, Massimo Caccia, Gianni Cella
  • Marco Circhirillo, Manuel Felisi, Davide Ferro, Enzo Fiore, Sara Forte
  • Fabio Giampietro, Peter Hide 311065, Olinsky, Fabrizio Molinario, Isabella Rigamonti
  • Massimo Romani, Michael Rotondi, Leonardo Santoli, Giovanni Sesia, Giulio Zanet

Ognuno di loro ha inserito una scheggia del proprio universo in questo mosaico. Hanno trasformato la “dimensione ridotta” in una sfida per sperimentare forme più intime, veloci, talvolta ironiche. Il risultato? Un affastellamento visivo che è pura goduria per gli occhi e per la mente.

La Genealogia del “Cool”

Siamo onesti, l’arte in scatola ha padri nobili. Quaroni cita, giustamente, la Boîte-en-Valise di Marcel Duchamp – il primo vero archivio portatile della storia – e le scatole oniriche di Joseph Cornell. Ma c’è anche lo spirito ribelle di Fluxus e le accumulazioni di Arman.

Gift non copia, ma attualizza. Prende quella lezione storica e la trasforma in un laboratorio collettivo moderno. Se Duchamp condensava se stesso, qui si condensa una comunità.

Perché questa mostra funziona

Funziona perché rompe la barriera del “non toccare”. Queste scatole chiedono di essere aperte, esplorate. Restituiscono all’arte una dimensione tattile, quasi domestica. È un ritorno al rito del dono descritto da Marcel Mauss, ma con un vibe contemporaneo.

In un mondo dove tutto è digitale e impalpabile, Gift ci ricorda che l’arte è materia, è scambio, è amicizia. È un network portatile che crea legami reali. La scatola diventa un kit operativo che viaggia, migra e racconta una storia corale.

Il mio verdetto?
Questa mostra è una boccata d’aria fresca. È un esperimento riuscito che trasforma la collezione in azione e l’osservatore in complice. Complimenti al curatore per la visione e agli artisti per la generosità creativa.

L’arte serve a creare legami? Assolutamente sì. E con Gift, il legame è stretto a doppia mandata.

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